N O V E L L A
“Anche le parole muoiono e non basta a consolare l’idea di averle fermate sulla carta”
Novella Cantarutti (Spilimbergo, 26 Agosto 1929 – Udine 20 Settembre 2009)
Gli antenati della città eterna sostenevano che nel nome delle persone fosse indicato il loro stesso destino: Nomen Omen, letteralmente “il nome è un presagio”.
E Novella Aurora racconta di rinascita, di collegamento tra il vecchio e il nuovo, tra il giorno e la notte. Novella è la prosa breve, semplice, talvolta modesta, certamente diretta ed essenziale; la buona novella è la novità che ti sorprende, inattesa e luminosa, novello è l’aggettivo che prende quel vino facile, beverino, dal colore vivo e acceso e dal gusto fresco e fragrante che va bevuto subito. E Novella è la nuova nata, proprio come la chiesa di Santa Maria, che si distingue attraverso il pensiero rivoluzionario nel mettere la figura femminile al centro, rivelando una verità ed una possibile radice comune profonda con tutte le altre chiese.
E “nuovo e rivoluzionario”, proprio come in Pasolini, si rivela oggi questo riferimento al pre- modernismo, alla rivalutazione di ciò che era la civiltà pre-industriale.
La Cantarutti sembra incarnare una fedeltà, la sua fedeltà al retaggio/legame di certe tematiche della sua infanzia, della sua terra con la sua realtà contadina, non in un senso (esclusivamente) nostalgico ma di principio, attivo, attraverso lo studio della vita tradizionale friulana nella varietà e nella complessità dei suoi campi e consuetudini, dell’oralità e del costume.
La lingua della Cantarutti è proprio il manifesto del senso ereditato, e per questo si mette al centro della friulanità, dove il “suo” friulano di Navarons della Val Meduna e il casarsese convivono in equilibrio, come in natura: da un lato uno zoccolo rude, una nicchia che difende l’oggettività, che consente di tradurre ogni concetto sfuggevole in qualcosa di concreto, palpabile, una fisicità semantica che registra il peso e l’usura della fatica quotidiana, della violenza della vita e allo stesso tempo del suo incanto. Dall’altra la grazia sublime delle estetiche pasoliniane, il simbolismo e la contemplazione che assorbe la lezione casarsese ritagliando un itinerario proprio, che rappresenta forse il tono giusto, centrale della moderna friulanità, che si pone giusto a metà strada tra avanguardia e retroguardia, senza aderire né agli estremi dello sperimentalismo estetico tra le tradizioni né, sino in fondo, al desiderio di una koinè.
Un lessico puro di vita inespressa, vergine, diretto e immediato, con vocalità delicate e penombre in cui si pone naturalmente assorbita la musicalità pura del simbolismo.
In definitiva racconta della straordinaria capacità e volontà di dire, di raccontare il suono di voci universali e taciute, di cucirle insieme come prosciugate allegorie della vita.
Il sapore arcaico della sua linea melodica, del suo lessico lieve e appartato, mezzo prezioso e naturale di straniamento, orgogliosa barriera, lingua pura della poesia per la poesia.
Stefano Battaglia